martedì, Dicembre 10, 2024
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South Italy Fashion Week: l’abito arbëreshë sfilerà sulle passerelle in jeans

Gli abiti tipici escono dalle teche e dai musei e diventano ispirazione per la moda. Vengono destrutturati e reinterpretati in chiave pop. La seta lascia spazio al denim e colorate gonne e sottogonne diventano capi moderni da indossare tutti i giorni. E’ questa la ‘provocazione’ di due stilisti della Moema Academy di Cosenza  presentata nel corso di un convegno all’interno della South Italy Fashion Week

“La cultura arbëreshë, la moda l’artigianalità”: la settima edizione di South Italy Fashion Week, promossa da Moema Academy di Cosenza, ha fatto tappa nel meraviglioso mondo di questa minoranza etnica e linguistica ricca di storia e di tradizioni. Un viaggio più che un semplice convegno, perché chi ha partecipato ha portato nei suoi interventi passione ed esperienza.

Il primo degli incontri previsti nel cartellone di South Italy Fashion Week che vede al timone Giada Falcone per la direzione artistica e organizzativa, ha raccontato, in un caldo pomeriggio di luglio, un territorio attraverso lo sguardo attento dei rappresentanti delle istituzioni, dei docenti di moda e storia dell’arte dell’accademia e degli imprenditori del comparto fashion. A fare da cornice coloratissima, i preziosi abiti tipici, indossati da alcune mamme delle studentesse della Moema Academy: pezzi originali del 1800 che narrano con fili d’oro e plissé una tradizione antica, transitati senza perdere stile ed eleganza nel mondo contemporaneo. È stato questo, alla fine, il messaggio dell’incontro: il passato non è lontano e questi abiti non vanno rinchiusi in una teca. Per valorizzarli e renderli attuali basta pensare a un restyling che ne mantenga intatta l’essenza e proiettarli verso il futuro.
È quello che hanno fatto Valentino Valerio De Rose, direttore artistico del brand Callisto e Maria Francesca Nigro docente della Moema Academy, con un progetto che reinterpreta gli abiti tradizionali italo-albanesi in chiave pop con cui partecipano al premo nazionale “Maestri d’eccellenza”.  Si tratta di un concorso che premia l’eccellenza della manifattura in Italia organizzato dal prestigioso gruppo LVMH, in collaborazione con la Camera Nazionale della Moda italiana, Confartigianato e con la Maison Fendi. L’iniziativa si rivolge a professionisti e imprese italiane.

Dalla seta al denim

Questi due giovani calabresi della Moema Academy hanno presentato un progetto intitolato “Uno sguardo fashion sulla cultura arbëreshë” in cui si sono divertiti a destrutturare gli abiti tipici e a farne dei pezzi moderni. Pizzi, ori e merletti diventano ispirazione per far conoscere anche al pubblico dell’alta moda la cultura delle minoranze italo-albanesi: il risultato è un omaggio a questa preziosa minoranza. La rivisitazione degli abiti tipici è un incontro generazionale, due mondi che vengono a contatto attraverso la moda. La plissettatura della gonna viene riportata nel capo spalla, diventa una mantella. Il bustino di raso viene realizzato in denim, il tipico corsetto, Xhipuni, diventa un bomber. I tessuti riportano i simboli tipici come il giglio ma hanno tagli moderni e innovativi.

“Il nostro è un mondo che in Calabria ha cinque secoli di storia e con orgoglio conserviamo la lingua, le tradizioni, la cultura, gli abiti. Un patrimonio che non può essere disperso”. Ha detto Rosaria Capparelli, Sindaco di San Benedetto Ullano. “La nostra comunità ha tanto da dire, perché nonostante siano passati 500 anni, ha un modo di interpretare la vita ancora molto attuale. E la moda può contribuire a far scoprire questo mondo – ha aggiunto – attraverso tessuti e ricami in oro. Ogni parte del vestito ha un significato e questo diventa una preziosa fonte di ispirazione e uno scambio reciproco”.

Una comunità viva e vitale che mantiene saldo l’attaccamento alle sue radici. “Con l’Albania abbiamo un rapporto stretto, ci vedono come i loro avi, un po’ come se fossimo gli antichi Romani – ha continuato – che custodiscono la loro lingua antica, le leggende, le tradizioni. Per tanto tempo su di noi è pesato il pregiudizio. Sicuramente a causa di un carattere riservato tipico delle comunità che vivono in aree interne, che venivano viste come diverse. Una diffidenza reciproca – ha concluso -che però per fortuna è stata superata e oggi con entusiasmo siamo disponibili a far conoscere la nostra cultura, la nostra lingua e le nostre tradizioni che ci sforziamo di preservare”.

A fare da guida attraverso questo meraviglioso viaggio nel mondo della comunità italo-albanese, Francesco Scorza, docente di storia dell’arte della Moema Academy. “Questi abiti – ha spiegato -sono un messaggio itinerante. Preferiamo chiamarli abiti e non costumi, perché costume ci riporta a qualcosa di antico, di superato, da tenere nel museo. E invece queste creazioni sono abiti ancora attuali, vivi. Conservano le nostre tradizioni, nella loro ricchezza di intrecci e fili d’oro c’è la preziosità del rito bizantino, che ci riporta all’Oriente, ai mosaici, alle icone. Hanno molto da raccontare, ci dicono, per esempio, dell’amore della sposa per il suo uomo: indossava questo abito durante la cerimonia nuziale e poi lo riponeva, lo conservava tra le cose più preziose. Ma lo utilizzava ancora nel momento della morte del marito o nei lutti più estremi”.

Nella collezione privata del docente che ieri ha sfilato in occasione del convegno, c’è l’abito tipico in tutte le loro varianti. Tessuti rarissimi, lama d’oro, gonne, sottogonne, sottanini ricamati e in raso. Merletti ormai rarissimi, veli ricamati in oro. Colori vividi: verde, blu, rosa, fuxia, rosso, viola. Ogni pezzo ha una simbologia. A renderli ancora più preziosi, l’accostamento con gioielli di famiglia da indossare in poche occasioni nella vita. Le stoffe più rare venivano acquistate a Napoli, altre venivano realizzate con il telaio domestico. “L’abito tipico – ha spiegato Scorza – era parte integrante della dote della sposa, veniva menzionato nel contratto che si stipulava tra le famiglie. Era un investimento che i padri facevano per il futuro delle loro figlie – non bisogna dimenticare che i ricami sono realizzati in oro puro – e quindi spesso per poterselo assicurare le famiglie vendevano parti dei loro terreni”.

“Proteggere la nostra cultura che rischia di scomparire è un atto di resistenza” ha detto Maria Teresa Conte, giovane docente di inglese e operatrice dello sportello linguistico di Santa Sofia D’Epiro. “Integrazione non significa omologarsi in maniera cieca, ma mantenere le proprie peculiarità in un contesto moderno. La cultura arbëreshë non è un glorioso passato, ma è presente e viva. C’è qualcosa di eroico – ha continuato – nei tanti giovani della nostra comunità che s’impegnano a conservare le loro radici, perché non è facile accettare l’idea che la propria cultura rischi l’estinzione. La moda in questo contesto diventa quindi espressione identitaria”.

Sulla stessa linea, l’intervento di Luigia Granata, presidente Confartigianato Moda Calabria e prima designer identitaria della regione riconosciuta dall’Oma. Granata ha traslato sui suoi abiti i colori e le forme di angoli bellissimi della Calabria. È sua una delle “porte narranti” che hanno rivitalizzato il centro storico di San Benedetto Ullano. “Delle peculiarità della Calabriaio ho fatto un mestiere e la cultura calabrese è una importante fonte d’ispirazione: questi abiti con i fili d’oro intrecciati nella seta sono vere e proprie opere d’arte”.

Luigia Granata si è rivolta soprattutto ai giovani allievi dell’accademia: “La moda- ha detto – è osservare. Siate curiosi, siate attenti a ciò che vi circonda, date il vostro contributo affinché queste tradizioni non si perdano portandole fuori confine. Osservate, studiate, imparate e conservate queste preziose informazioni per quando dovrete esprimervi con il vostro bagaglio culturale: diamo valore al nostro modo di vivere e di intendere la vita e mostriamolo con orgoglio”.

Orgoglio e valorizzazione delle tradizioni sono state parole chiave nell’incontro. “Siamo felici di avere promosso un confronto costruttivo e arricchente su questi temi – ha detto Giada Falcone, direttrice artistica e organizzativa di South Italy Fashion Week -. Per i giovani che studiano per diventare fashion designer è fondamentale conoscere questa cultura e queste tradizioni. Il prezioso patrimonio è fonte di ispirazione e non può che essere apprezzato anche dal pubblico dell’alta moda”.

Eventi in programma

La Fashion Week prosegue con i suoi appuntamenti: questa mattina presso la Moema Academy il contest fotografico “Back to Piper” e la Masterclass a cura di Maurizio Morrone, consulente d’immagine, “Colori e forme, come valorizzare la propria immagine”. Domani, giovedì 6 luglio, a Villa Rendano, l’incontro “La promozione territoriale attraverso la moda e le discipline artistiche”. Seguiranno nella stessa location, la performance di moda che vedrà sfilare brand da tutta Italia, la consegna dei premi del maestro G. B. Spadafora e il Fashion Party con dj set, performance e musica live. Le acconciature della sfilata saranno a cura dell’hair stylist Giuseppe Scaramuzzo.

La settimana della moda si concluderà venerdì 7 luglio con il dibattito “Hi mini. Il legame tra la lunghezza della gonna e la storia della società”, omaggio a Mary Quant.

 

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